Al la firma del Trattato di Roma l’Italia era, dei sei Paesi fondatori, il meno sviluppato e meno provvisto di strutture finanziarie di mercato. Negli anni successivi l’Italia non si dimostrò però un terreno di facile conquista per i concorrenti europei; al contrario fu proprio l’Italia a invadere gli altri paesi, sia con i prodotti delle industrie tradizionali, sia con quelle di produzione di massa, in particolare di beni durevoli, entrando persino in segmenti delle produzioni basate sulla conoscenza scientifica. Era però un’espansione spinta dalle esportazioni e dai bassi salari; il suo successo inevitabilmente cancellò i bassi salari e avrebbe richiesto un innalzamento dei contenuti della produzione nazionale. Sarebbe servita una strategia industriale “alla tedesca” mentre invece fu seguita la strada della sostituzione del lavoro con l’automazione. Ciò stressò le finanze delle grandi imprese di un Paese finanziariamente gracile, accentuando il ruolo delle banche e delle imprese di Stato. A questo destino sfuggirono le industrie di specializzazione, che iniziarono una crescita basata su imprese medio-piccole non assistite. Quando il vincolo estero pose fine alle svalutazioni competitive e alla larghezza degli aiuti di Stato, sia le grandi imprese che le medie specializzate videro messi a rischio i rispettivi modelli competitivi. Ma presto le imprese di specializzazione impararono a competere con una moneta solida e sui mercati internazionali. La crisi del 2009 le ha colte nella transizione ma non ha impedito a molte di esse di continuare a crescere.
Dal Trattato di Roma alla crisi dei subprime: mezzo secolo di opportunità per le imprese italiane / GROS-PIETRO, GIAN MARIA. - (2010), pp. 337-353.
Dal Trattato di Roma alla crisi dei subprime: mezzo secolo di opportunità per le imprese italiane
GROS-PIETRO, GIAN MARIA
2010
Abstract
Al la firma del Trattato di Roma l’Italia era, dei sei Paesi fondatori, il meno sviluppato e meno provvisto di strutture finanziarie di mercato. Negli anni successivi l’Italia non si dimostrò però un terreno di facile conquista per i concorrenti europei; al contrario fu proprio l’Italia a invadere gli altri paesi, sia con i prodotti delle industrie tradizionali, sia con quelle di produzione di massa, in particolare di beni durevoli, entrando persino in segmenti delle produzioni basate sulla conoscenza scientifica. Era però un’espansione spinta dalle esportazioni e dai bassi salari; il suo successo inevitabilmente cancellò i bassi salari e avrebbe richiesto un innalzamento dei contenuti della produzione nazionale. Sarebbe servita una strategia industriale “alla tedesca” mentre invece fu seguita la strada della sostituzione del lavoro con l’automazione. Ciò stressò le finanze delle grandi imprese di un Paese finanziariamente gracile, accentuando il ruolo delle banche e delle imprese di Stato. A questo destino sfuggirono le industrie di specializzazione, che iniziarono una crescita basata su imprese medio-piccole non assistite. Quando il vincolo estero pose fine alle svalutazioni competitive e alla larghezza degli aiuti di Stato, sia le grandi imprese che le medie specializzate videro messi a rischio i rispettivi modelli competitivi. Ma presto le imprese di specializzazione impararono a competere con una moneta solida e sui mercati internazionali. La crisi del 2009 le ha colte nella transizione ma non ha impedito a molte di esse di continuare a crescere.Pubblicazioni consigliate
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