A partire dagli anni Sessanta del secolo scorso monta nelle opinioni pubbliche europee un robusto moto d’insofferenza nei confronti dei limiti entro cui la democrazia è stata circoscritta all’indomani della Seconda guerra mondiale. In principio questo moto è impregnato di politica, e la contestazione del Sessantotto ne rappresenta il momento culminante. Col tempo, però, esso è fatalmente destinato non soltanto a depoliticizzarsi, ma a far deperire le condizioni stesse del fare politica – come aveva lucidamente compreso, in contemporanea con gli eventi, il filosofo cattolico Augusto Del Noce. Le élite rappresentative reagiscono a questa sfida con sufficiente prontezza, a cominciare grosso modo dalla metà degli anni Settanta. E nell’immediato le loro soluzioni si rivelano efficaci: in molte democrazie l’assetto istituzionale viene sì corretto, ma è confermato nelle sue linee di fondo, mentre i partiti tradizionali, di destra e di sinistra, riescono a mantenere il controllo dei rispettivi sistemi politici. Nei successivi quarant’anni, tuttavia, quelle stesse soluzioni contribuiscono in misura notevole ad accelerare e aggravare la crisi che dovevano risolvere. Prende così avvio un processo di (auto)distruzione del politico del quale stiamo vivendo oggi la fase più acuta.
La (auto)distruzione del politico, 1968-2008 / Orsina, Giovanni. - (2020), pp. 127-140.
La (auto)distruzione del politico, 1968-2008
GIovanni Orsina
2020
Abstract
A partire dagli anni Sessanta del secolo scorso monta nelle opinioni pubbliche europee un robusto moto d’insofferenza nei confronti dei limiti entro cui la democrazia è stata circoscritta all’indomani della Seconda guerra mondiale. In principio questo moto è impregnato di politica, e la contestazione del Sessantotto ne rappresenta il momento culminante. Col tempo, però, esso è fatalmente destinato non soltanto a depoliticizzarsi, ma a far deperire le condizioni stesse del fare politica – come aveva lucidamente compreso, in contemporanea con gli eventi, il filosofo cattolico Augusto Del Noce. Le élite rappresentative reagiscono a questa sfida con sufficiente prontezza, a cominciare grosso modo dalla metà degli anni Settanta. E nell’immediato le loro soluzioni si rivelano efficaci: in molte democrazie l’assetto istituzionale viene sì corretto, ma è confermato nelle sue linee di fondo, mentre i partiti tradizionali, di destra e di sinistra, riescono a mantenere il controllo dei rispettivi sistemi politici. Nei successivi quarant’anni, tuttavia, quelle stesse soluzioni contribuiscono in misura notevole ad accelerare e aggravare la crisi che dovevano risolvere. Prende così avvio un processo di (auto)distruzione del politico del quale stiamo vivendo oggi la fase più acuta.File | Dimensione | Formato | |
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